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Morta la piccola Indi.

Addio Indi Gregory. È morta la bimba inglese affetta da una rarissima malattia e condannata dall’Alta Corte di Londra alla sospensione dei trattamenti vitali.

La piccola, 8 mesi, è spirata in un hospice per malati terminali del Derbyshire, dove era stata trasferita sabato in mattinata, qualche ore dopo lo spegnimento del ventilatore meccanico che l’aiutava a respirare. Papà Dean, 37 anni, e mamma Claire, 35 anni, speravano che la figlioletta, fornita solo di una maschera per l’ossigeno, sarebbe rimasta in vita ancora qualche ora, e così è stato.

È il triste finale di una storia drammatica su cui si è espresso anche Papa Francesco. Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha fatto sapere che il Pontefice “si stringeva alla famiglia della piccola Indi Gregory, al papà e alla mamma, pregava per loro e per lei, e rivolgeva il suo pensiero a tutti i bambini che in queste stesse ore in tutto il mondo vivono nel dolore o rischiano la vita a causa della malattia e della guerra”. Messaggio arrivato dritto al cuore del padre della bambina, Dean Gregory, che ha risposto: “Io, Claire e Indi siamo molto grati e onorati di sentire queste bellissime parole di Papa Francesco, lo ringraziamo tanto”.

Indi, nata il 24 febbraio scorso, non era mai uscita prima dal Queen’s Medical Center di Nottingham, l’ospedale in cui era ricoverata sin dalla nascita. Il viaggio di 40 minuti versol’hospice è stato il suo primo e ultimo. Avvenuto a bordo di un’ambulanza scortata dalla polizia. “E’ stata bravissima, neppure uno strillo – aveva commentato papà Dean poco prima che morisse – sono certo che avremmo potuto affrontare anche il viaggio in Italia”.

La speranza di portare la piccola al Bambino Gesù di Roma, che si era offerto di prenderla in carico, non era in fondo mai svanita. Nonostante i ripetuti “no” dei giudici britannici convinti che “il miglior interesse” della bambina fosse solo la sospensione dei trattamenti. Lunedì, lo ricordiamo, il Consiglio dei ministri di Giorgia Meloni aveva concesso a Indi la cittadinanza
italiana. Due giorni dopo, il console italiano a Manchester, Matteo Corradini, diventato automaticamente suo giudice tutelare, ha avviato le procedure per chiedere il trasferimento di giurisdizione del caso da Londra a Roma. Venerdì, mentre la Corte d’Appello valutava l’ultimo ricorso presentato dalla famiglia, la premier Meloni scriveva al Segretario di Stato per la Giustizia del Regno Unito, Alex Chalk, chiedendogli ufficialmente di collaborare per facilitare il trasferimento della bambina in Italia ai sensi della Convenzione dell’Aia del 1996, un accordo internazionale sulla responsabilità genitoriale e la protezione dei minori ratificato dal Regno Unito nel 2012 e dall’Italia nel 2015. Non c’è stato nulla da fare. I togati di Sua Maestà, anzi, sono apparsi quasi irritati l’attivismo amministrativo, diplomatico e politico con cui l’Italia ha cercato di ribaltare l’esito del caso.

Indi se n’è andata. Il protocollo di morte che le è stato applicato prevedeva divieto di rianimazione e fornitura di ossigeno massimo per una settimana. Niente alimentazione e idratazione, e. La sindrome da deperimento mitocondriale di cui soffriva dalla nascita, certo, era molto grave. Le provocava il mancato sviluppo dei muscoli che la privava dell’energia per crescere. I genitori, assisiti nel contenzioso dagli avvocati del Christian Legal Center, sono stati sempre consapevoli della durezza della diagnosi ma hanno rivendicato fino all’ultimo, per lo meno, il diritto alle cure essenziali. All’aria, al cibo, all’acqua. Dopotutto, la bambina, a dirlo erano i video pubblicati sui social network da papà Dean, piangeva, sorrideva e sgambettava.

Nel Regno Unito la storia della piccola “guerriera” dalle ciglia lunghe, quarta figlia femmina di Dean e Claire, è passata quasi inosservata. Il caso è molto simile a quello di alti minori gravemente disabili o ammalati a cui il tribunale, incalzato dalle direzioni sanitarie degli ospedali pubblici, ha deciso di staccare la spina contro la volontà delle famiglie. Charlie

Gard, Alfie Evans, Archie Battersbee e Isaiah Haastrup sono solo alcuni dei casi più famosi. Secondo l’associazione Christian Concern il caso amplifica l’urgenza di una riforma sul fine vita che introduca nell’ordinamento un approccio più compassionevole a casi in odore di eutanasia come questo. Le autorità paiono fare orecchi da mercante. L’opinione pubblica è
distratta. Quello che ci si chiede adesso è: “Chi sarà il prossimo?”

fonte: Avvenire