Paolo doveva ancora compiere 15 anni, ma ha deciso «definitivamente di spegnersi», come ha detto il parroco del santuario di Santi Cosma e Damiano (Latina), dove viveva e dove si è celebrato l’ultimo saluto al ragazzo. Per Paolo il presente era un calvario insopportabile, non vedeva alternative, si è arreso.
Quando uno studente arriva a “spegnersi” proprio il giorno prima di riprendere la scuola significa che egli non vi voleva tornare non trovando ascolto e comprensione. Paolo si sentiva “solo” e ha deciso di dire addio alla propria giovinezza piuttosto che affrontare nuovamente i tormenti dell’isolamento e dell’’emarginazione, piuttosto che vivere molte ore della sua vita in quell’ambiente dove era costretto a soffrire a causa del bullismo di cui era vittima.
Si legge sul Corriere della Sera: “Paolo non è morto perché era “fragile” o perché era un “diverso”. È morto perché il cuore della discriminazione che ha subito era farlo sentire come se non appartenesse alla categoria del “maschile”. Lo chiamavano con nomi femminili (“femminuccia, Paoletta o Nino D’Angelo”) non per offendere le donne, ma per dirgli implicitamente che non era un uomo.“
Paolo era un ragazzo pieno di interessi: suonava basso e batteria, amava pescare con il papà, andava bene a scuola. Ma era “solo”, nessuno si è accorto della sua fragilità profonda, nessuno ha compreso il suo malessere, nessuno lo ha ascoltato, nessuno ha osservato i suoi occhi da cui traspariva una profonda tristezza. Paolo era invisibile, un’ombra! Ed il silenzio talvolta uccide.
Ed era “solo” anche nella sua cameretta quando, utilizzando la corda di una trottola, ha deciso di partire per porre fine al suo lungo e continuo tormento interiore, il suo “inferno silenzioso”.
Eppure c’è chi non poteva non sapere, chi dovrebbe recitare un mea culpa: “non so, non ho visto, se c’ero dormivo”, così come recita un’opera teatrale di Luigi Lunari.
Dove era la “comunità scuola” tutta, che attraverso la dirigente scolastica ha dichiarato: “Agli atti non c’è nessuna denuncia formale nei confronti dell’istituto”; “Dai verbali dei consigli di classe non è emersa alcuna criticità”; “Nessuna segnalazione da parte dei genitori, nessuna criticità rilevata dalla psicologa dello sportello di ascolto”. Paolo era invisibile, Un’ombra!
Il tipico linguaggio burocratico, il “presidenzialese”
Tutti avevano “Fette di prosciutto sugli occhi”.
Quindi nessuna responsabilità, nessuno è responsabile!
Quindi, Paolo, è tutta “colpa” tua! Non hai mai chiesto aiuto!
Eppure, raccontano i familiari, fin dalle elementari era stato preso di mira: scherzi crudeli, insulti per i capelli lunghi, tanto da essere costretto a tagliarseli per evitare di essere oltraggiato.
«Già in quinta elementare avevamo presentato una denuncia ai carabinieri perché era bullizzato. Addirittura un bambino si presentò con un coltello in classe minacciandolo di ammazzarlo. Questa denuncia è stata poi archiviata».
Alle medie aveva cambiato scuola, ma gli episodi di bullismo e cyberbullismo sarebbero continuati anche al liceo.
Solo! Nessuno ha incitato Paolo non aver paura, non lasciarsi sopraffare dalla malvagità altrui, a gridare tutto il suo malessere, la sua rabbia, il suo tormento.
Questa tragedia, che lacera il cuore di tutti, può indurci a dire che la scuola spesso è lo specchio di una società malata e alla deriva; una società che non riesce a contrastare, come dovrebbe, la cultura dell’odio che ancora troppo spesso viene tollerata, minimizzata!
La scuola di Paolo pare si sia voltata dall’altra parte invece di ascoltarlo e proteggerlo.
In realtà la stragrande maggioranza dei docenti non accetta che ragazzi e ragazze vengano perseguitati per come sono o per come appaiono; si dedicano seriamente all’educazione, al rispetto e all’inclusione, affinché non sia possibile che i segnali non vengano colti, che il dolore di un ragazzo resti invisibile e che ciascun ragazzo non si senta mai inadeguato; operano per costruire una scuola che sappia vedere, che sappia ascoltare, che sappia aiutare; educano alla solidarietà e la valorizzano, perché la solidarietà non tollera l’esclusione.
In qualità di Segretario provinciale dello Snals di Milano, ma soprattutto come docente, desidero esprimere alla famiglia vicinanza e dolore per la tragica scomparsa di Paolo, con l’auspicio che questi tragici episodi non si ripetano più e che ogni comunità scolastica sappia riconoscere e fermare in tempo ogni forma di violenza, esclusione o umiliazione riconoscendo in tempo ogni segnale di disagio.
Prof Giuseppe Antinolfi
Segretario Provinciale dello Snals di Milano.