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Non hanno agito e ora i sudditi sono gli untori

“Siete ancora in tempo” aveva implorato un giovane attore di teatro in un post scritto la notte scorsa rivolgendosi al capo del Governo. Invece no, è l’ennesimo inganno, un’altra lezione di crudele cinismo per frustrare le anime migliori e soggiogarle alla paura. Tutto quello che sta accadendo era prevedibile e, in buona parte, prevenibile. Non sono stati capaci o non l’hanno voluto fare.

Ovviamente, occorreva agire, il punto però è come, non è il rischio in discussione ma il buon senso. Io, e credo molti, mi sarei aspettato che qualsiasi fossero state le iniziative decise, fossero state precedute da un “cari cittadini scusate, è stata nostra responsabilità”. Invece il copione si è capovolto e sono stati i sudditi a essere indicati come gli “untori”, proprio come avvenne con la pellagra tre secoli fa: i governanti dicevano che era colpa dei contadini che contagiavano, quando invece la responsabilità era la miseria cui erano stati ridotti.

Nelle stanze del potere hanno scritto la sceneggiatura perfetta per instillare il terrore nella gente. Si fanno annunci con l’ostentata sicurezza del leader, s’indice una conferenza stampa, la si disdice, nella notte si aggiusta e infine si fa una labile promessa circa la fine della pena. Si chiama “effetto straniante”: inibisce il pensiero, la critica, inducendo disillusione, che è un virus pericolosissimo. Altrimenti chi mai si sarebbe permesso di equiparare la presentazione di un libro o una recita di bambini a un aperitivo notturno? Non è vero che un rischio è simile a un altro e loro, i nostri comandanti, lo sanno benissimo, ma è proprio l’effetto che inseguono.

Non sono angosciato dal virus – le cure migliorano, il vaccino arriverà – quanto da chi sta prendendo decisioni sulle nostre vite e da cosa questa politica lascerà ai nostri figli.

“Dilaga il terrore quale conseguenza di una degenerazione dei valori tale per cui un uomo non è più giudicato in funzione della propria dignità, ma del proprio successo” ha scritto Albert Camus nel 1946. Basterebbe aggiungere “consenso” al “successo” per capire perché e come siamo arrivati fino a qui.

Abbandonare una generazione di adolescenti (età tra le più fragili) alla mistificazione della didattica a distanza, significa ritrovarla senza preparazione, abulica, tarpata nelle speranze. Anche un teatro o un cinema è un raccoglitore di sogni e di sublime fantasia, per questo li chiudono. Anche un tavolo di una trattoria con quattro amici è il luogo dell’appartenenza affettiva e della solidarietà, per questo li chiudono: surreale che ci lasciano prendere il tè alle cinque. “Rimanete in casa” risuona la voce del padrone: ci guadagneranno gli avvocati matrimonialisti, non certo la nostra salute mentale.

Il piano ora è chiaro e nessuno potrà dire di non vederlo: si utilizza la pandemia per cambiare antropologicamente l’umanità. Tutti a casa, davanti a uno schermo, i libri bruciati, i giovani con i loro pixel, senza amici, senza amori. Tutti proni, stremati, ingozzati di paura. Non credo che dietro l’inedia si nasconda solo una diffusa depressione, ma anche, pericolosamente, molta rabbia.

Chi pagherà per questo insulto alle nostre, residue, intelligenze? Governatori che prima incitavano alla movida estiva e ora vogliono chiudere tutto? Ministri che non avevano previsto la recrudescenza dell’epidemia e non sono stati in grado di mettere in sicurezza il popolo? Medici che annunciano la morte clinica di un virus e che ora osservano reparti ingorgati da centinaia di poveri febbricitanti? Gli anziani ricoverati in una Rsa non potranno vedere per l’ultima volta i loro figli: così hanno deciso i nostri capitani.

E voi tutto questo la chiamate civiltà?